Saveria mi hai dato lo spunto per riportarti un breve testo dove ricostruisco gli esordi di un certo tipo di avicoltura in Italia.
la Francia era comunque ed è ora assai più evoluta di noi .
ecco il testo.
ALLEVAMENTO TRADIZIONALE DEL POLLAME
Rispetto agli scritti dei Romani trascorsero molti secoli senza che nulla si aggiungesse in relazione all'allevamento degli uccelli domestici. Ne parla successivamente, in alcuni suoi scritti, Ulisse Aldovrandi, delle cui opere Darwin ebbe a scrivere: "l'ornitologia di lui è il più completo documento di cui possiamo disporre per determinare l'età delle nostre razze domestiche di polli e di piccioni".
Non si deve credere che Aldovrandi non avesse commesso anche clamorosi errori come quello di attribuire origine indiana e provenienza turca al tacchino, seguendo forse quella tradizione geografica in omaggio alla quale Cristoforo Colombo, giungendo alle Antille, aveva creduto di essere in India.
L'avicoltura andò intensificandosi nei secoli successivi al XVI come piccola attività rurale limitata in molte province all'opera del colono. Questa condizione declassò l'avicoltura che fu considerata appannaggio delle massaie e tenuta in dispregio dagli stessi contadini di sesso maschile. In regime di mezzadria, l'allevamento del pollame era competenza del colono, al quale il proprietario poneva una limitazione nel numero dei capi e delle specie da allevare. La limitazione del numero dei capi, imposta dai capitolati agrari, veniva di solito elusa con l'allevamento dei giovani e sorgevano dispute per tali trasgressioni. In generale i patti colonici contemplavano la corresponsione al proprietario di un certo numero di capi per ogni categoria di pollame e più precisamente galletti d'agosto, capponi a Natale, galline a carnevale e uova a Pasqua.
In Italia giunsero successivamente da Parigi le prime notizie di un'esposizione internazionale di avicoltura, cosicché l'interesse per questa cominciò ad accrescersi, in particolar modo verso le razze di polli considerate da prodotto. Nacque così una "consociazione modenese" per il miglioramento degli animali da cortile, la quale importò gruppi scelti dalla Francia, affidando l'allevamento ad agricoltori appassionati. Nel 1899 il Corriere della Sera, ritenendo negletto in Italia l'allevamento degli animali da cortile, bandì un'esposizione nazionale di avicoltura alla quale fece seguito, l'anno successivo, una internazionale sotto gli auspici dell'Associazione della Stampa Lombarda. Da allora si destò un movimento abbastanza intenso a favore dell'industria zootecnica su basi avicole e le esposizioni si seguirono numerose a Firenze, a Roma, in Piemonte, culminando con quella internazionale che ebbe luogo a Milano nel 1906 in occasione dell'inaugurazione del valico del Sempione.
Nel frattempo era stata costituita una società italiana di avicoltura con sede a Genova, la cui presidenza fu affidata al marchese Gerolamo Trevisani autore di diversi trattati sull'argomento. Nel 1909 il Governo, su decisione espressa dal congresso degli agricoltori, decise l'istituzione di stazioni sperimentali di avicoltura atte a far progredire le conoscenze su questo ramo importantissimo della zootecnia. In seguito lo scoppio della prima guerra mondiale l'Italia subì non soltanto un arresto, ma addirittura un regresso delle sue produzioni agrarie e solo il 28 giugno del 1917, il Ministro dell'Agricoltura con decreto istituì la Stazione Sperimentale di Pollicoltura di Rovigo (Ghigi A., 1930, 1968; Bonadonna T., 1950; Périquet J. C., 1995).
AVICOLTURA INDUSTRIALE
Già nel lontano 1892, assai prima che Shull proponesse il concetto di eterosi, Cushman aveva notato e sottolineato che gli ibridi di prima generazione fra due razze erano più robusti e facili da allevare. Dopo un lungo intervallo di tempo Warren riprese l'argomento, dimostrando che gli incroci tra Livorno bianca per Jersey nera erano superiori alle razze pure parentali nella maggioranza dei caratteri di valore economico. Nonostante ciò fino agli inizi del 1950 le ricerche si susseguirono avendo come protagoniste le razze pure, con risultati favorevoli al miglioramento dello sviluppo corporeo, ma contraddittori per altri caratteri, specie l'attitudine ovaiola. Si può quindi affermare che furono i genetisti avicoli i primi, nel settore animale, a violare il dogma infrangibile della razza pura. Con l'avvento dell'avicoltura intensiva le idee e le esperienze uscirono dai laboratori e cominciarono a moltiplicarsi le esperienze pratiche. Per le ovaiole si profilava di fatto una crescente difficoltà nel migliorare le prestazioni con i metodi tradizionali (selezione massale con progeny test e selezione famigliare); per i polli da carne si imponeva la ricerca di metodi adeguati con cui porsi in modo competitivo di fronte al mercato in espansione. In simile contesto prese terreno la pratica dell'incrocio quale unico sistema riproduttivo capace di sfruttare un'intera classe di azioni geniche prima trascurate come gli effetti di dominanza, di superdominanza ed epistatici. Una statistica del U. S. Agricoltural Research Service riporta che già nell'annata 1955-56 il 43% dei pulcini allevati negli Stati Uniti proveniva da incrocio. Oggi, tutti i polli commerciali in tutto il mondo sono meticci. Le razze pure sono uscite di scena come fornitrici di animali da sfruttamento. Nel settore delle ovaiole tutti gli incroci commerciali sono stati ottenuti con due metodi: ibridazione di linee consanguinee ed incrocio fra ceppi, spesso nella sua versione più sofisticata vale a dire la selezione ricorrente reciproca. Intorno al 1975 l'ibridazione di linee consanguinee e la selezione ricorrente reciproca furono messe da parte a vantaggio dell'incrocio fra ceppi, nella versione originale meno complessa e costosa e sicuramente più flessibile rispetto alle fluttuazioni del mercato.
Un fatto curioso, che si ripete sia per le linee ovaiole che per i polli da carne è che molti dei moderni ceppi a produzione elevata provengono da un numero modesto di selezionatori, non più di 6-7, e taluni ceppi potrebbero avere un'origine comune. Quindi, una base genetica sorprendentemente ristretta per una distribuzione mondiale. Tutto ciò fa riflettere sui pericoli implicati e sulla necessità, in una proiezione futura, di conservare e difendere il prezioso patrimonio genetico rappresentato dalle molte razze e varietà ancora esistenti in purezza. Parecchi rappresentanti della scienza ufficiale ritengono che, con produzioni annue oscillanti fra le 230 e le 260 uova si sia raggiunto o quasi un plateau difficile da superare con i metodi in possesso della genetica moderna; non tanto perché la varianza genetica additiva sia esaurita, quanto per l'instaurarsi di correlazioni geniche negative tra i caratteri economici più importanti e perseguiti (taglia piccola del corpo e dimensioni grandi delle uova da un lato e produzione di uova dall'altro). I classici broiler degli inizi degli anni '50 raggiungevano il peso di 1,2-1,3 kg a 12 settimane, con un'efficienza medie di trasformazione pari a 3-3,4. I broiler medi degli anni '70 arrivavano già a 1,8-2 kg in 8 settimane, con indici di conversione spesso inferiori a 2,2-2,4. L'incremento e il miglioramento, seppur rallentati, continuano e non ci sono prove che si sia raggiunto un plateau. Unico pericolo dell'esasperata corsa a favore dei tratti ponderali è quello che determini degli scompensi metabolici con effetti negativi diversi; è questa probabilmente la causa principale dei grossi inconvenienti di recente lamentati in ceppi di broiler superpesanti (Giordani G., 1975).