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Uccidere la volpe non è reato

Ultimo Aggiornamento: 05/10/2009 15:57
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02/10/2009 11:45
 
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Questo il testo per esteso della decisione:

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
SENTENZA
Svolgimento del processo
Il Tribunale di Pordenone, con sentenza del 21/5/08, ha dichiarato S. G. colpevole del reato di cui all’art. 30, lett. a), L. 157/92 [1], per avere esercitato la caccia alla volpe, abbattendone un esemplare, in periodo di divieto generale, intercorrente tra la data di chiusura e di apertura di cui all’art. 18 della medesima legge. Lo ha condannato alla pena di euro 620,00 di ammenda, pena integralmente condonata; ha ordinato la confisca dei bossoli in sequestro e la loro distruzione, nonché la restituzione del fucile all’imputato.
Propone ricorso per cassazione la difesa del S. , con i seguenti motivi: - il Tribunale ha errato nel ritenere la insussistenza della causa di giustificazione ex art. 54 o ex art. 52
c.p., che scriminasse il reato contestato e ciò in dipendenza di una non esatta valutazione delle emergenze istruttorie, che se correttamente lette, avrebbero permesso di ritenere che la condotta posta in essere dall’imputato fosse necessitata. Peraltro sussistono nella specie gli elementi per l’applicabilità della legittima difesa.
Motivi della decisione
Il ricorso è fondato e merita accoglimento.
Il Tribunale di Pordenone ha ritenuto che la condotta posta in essere dal prevenuto concretizzasse il reato di cui all’art. 30, lett. a), L. 157/92, escludendo che le risultanze probatorie potessero permettere al S. di vedersi riconosciuta la sussistenza della esimente ex art. 52 o 54 c.p.. Il giudice del merito ha rilevato che il requisito dell’offesa ingiusta, nella ipotesi prevista dall’art. 52 c.p., in tema di difesa legittima, postula una azione umana responsabile e giammai un fatto irresponsabile quale è il danno arrecato dagli animali, introdottisi nel fondo altrui; quanto allo stato di necessità, ha evidenziato che il danno grave alla persona, richiesto dall’art. 54 c.p., non è solo quello alla vita, ma anche quello alla integrità fisica e quello minacciato a beni attinenti alla personalità, ma non può mai estendersi ad un evento temuto di natura patrimoniale, ovvero riguardante il mondo animale o vegetale, poiché solo il pericolo grave per la persona giustifica, secondo la scelta legislativa, in linea con quella costituzionale, l’illecito penale.
Orbene si osserva che la argomentazione motivazionale, svolta dal decidente e posta a supporto della impugnata decisione, si rivela viziata, in quanto le emergenze processuali hanno permesso di rilevare che la volpe si era altre volte introdotta nel pollaio in proprietà al prevenuto, facendo razzia di polli e galline, nonché aggredendo la moglie dello stesso.
Ciò avrebbe dovuto determinare il decidente nella convinzione che l’imputato era stato costretto ad abbattere l’animale per tutelare non solo i propri beni, ma anche per salvaguardare la incolumità delle persone facenti parte del suo nucleo familiare.
Questa Corte ha avuto modo di affermare, in analoga fattispecie, che nel concetto di "necessità", escludente la configurabilità del reato, è compreso non solo lo stato di necessità, quale assunto dall’art. 54 c.p., ma anche ogni altra situazione che induca alla uccisione o al danneggiamento dell’animale per evitare un pericolo imminente o per impedire l’aggravamento di un danno giuridicamente apprezzabile alla persona propria o altrui o ai beni, quando tale danno l’agente ritenga altrimenti inevitabile.
In applicazione di tale principio il giudice di legittimità ha ritenuto corretta la decisione del giudice di merito che aveva escluso la sussistenza di reato nella ipotesi di uccisione di un cane, pastore tedesco, che introdottosi in un pollaio, aveva mangiato gli animali ivi rinchiusi e quindi aggredito il loro proprietario, accorso per allontanarlo (Cass. 18/2/98, n. 1963; Cass. 14/3/06, n. 8820).
Questo Collegio ritiene che, nella specie, il S. andava assolto dalla imputazione ascrittagli, perché il fatto non costituisce reato, sussistendo la esimente di cui all’art. 52. co. 1, c.p., essendo stato costretto a sparare sull’animale, per difendere un proprio diritto patrimoniale, nonché la incolumità delle persone con lui conviventi.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non costituisce reato.
DEPOSITATA IN CANCELLERIA IL 18 GIUGNO 2009

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